Molto spesso noi tecnici ci troviamo a criticare i genitori dei nostri piccoli (e meno piccoli) atleti. Qualcuno, di fronte all’invadenza di alcuni, arriva persino a dire con cinismo e cattiveria esagerate, che i migliori atleti da allenare sarebbero gli orfani…La verità è che quasi sempre la famiglia riveste un ruolo molto importante nella crescita  sportiva dei “nostri” ragazzi. Un “lavoro” di squadra condiviso fra tecnico, atleta, società e famiglia, aiuta moltissimo nel processo educativo e di evoluzione degli atleti con cui lavoriamo. Tecnici e società solitamente  hanno un’esperienza maggiore e conoscono bene situazioni che un genitore vive con il proprio figlio magari per la prima volta e, spesso, come è logico che sia, con un grande coinvolgimento emotivo. Sarebbe molto importante instaurare sempre un dialogo ed un rapporto di collaborazione per far comprendere certe cose a papà e mamme la grande maggioranza delle volte in buonissima fede.

Di seguito una libera traduzione di Andrea Uberti di un articolo di Matt Russ, pubblicato in inglese  al seguente indirizzo:

HOW TO DESTROY YOUR CHILD’S ATHLETIC FUTURE IN 3 EASY STEPS     

(Trad. Come distruggere il futuro atletico del tuo bimbo in tre facili mosse)

Si rivolge direttamente ai genitori dei giovani atleti (bimbi), focalizzandosi principalmente su quelli che nutrono grandi speranze nel destino sportivo dei propri figli:

 In oltre 2 decadi di attività da allenatore ho avuto il piacere di vedere alcuni dei miei giovani atleti completare il proprio percorso evolutivo fino al livello professionistico.

Nel frattempo ho sviluppato una specie di visione generale su quello che occorre  per andare dal punto A (l’attività promozionale ndt) fino ad un  punto B davvero distante (il professionismo).

Ho lavorato con alcuni genitori meravigliosi che hanno contribuito in grande parte nel successo dei propri figli.

Ma sfortunatamente sono stato testimone del sabotaggio perpetrato da molti genitori, talvolta inconsapevolmente e spesso con le migliori intenzioni, ai danni del futuro atletico dei propri ragazzi. Se questi avessero fatto attenzione a poche semplici regole, o avessero esaminato alcuni dei motivi che li animavano, non solo avrebbero fatto del proprio bambino un migliore atleta, ma ne avrebbero fatto migliori agonisti, ragazzi più felici e con maggior benessere.

Se riconoscete di essere (dei genitori ndt) entusiasti del fatto che tuo figlio possa avere una carriera nel mondo dell’atletica, vi invito a farvi un obbiettivo esame di coscienza.

E se vi accorgete che state facendo una delle tre cose che ti dirò di seguito, vi posso garantire che vostro figlio non arriverà dove credete possa arrivare.

  1. State riponendo sul vostro ragazzo quelle che sono le VOSTRE ambizioni. Trovo interessante come molti degli atleti più realizzati che io abbia conosciuto non siano, nel momento in cui arrivano all’atletica, (i genitori) ossessivi che ci si potrebbe aspettare. Infatti  questi tendono ad avere un atteggiamento del tipo “leisez faire” verso l’attività atletica dei figli. La mia opinione è che questi genitori abbiano una più alta comprensione di cosa sia il processo di sviluppo sportivo. Porre le fondamenta, acquisire una serie di abilità e prendere dimestichezza gradualmente con i tranelli della competizione, sono considerati da questi genitori più importanti che riconoscimenti ed encomi. Questi  hanno grande famigliarità con la lunga strada e la mole dei sacrifici che sono richiesti per arrivare in alto nello sport, e anche con la casualità necessaria per riuscirci.Tendono ad essere più rispettosi degli allenatori e pazienti in rapporto al processo di formazione. In breve, questi han raggiunto una prospettiva più ampia, che molti di noi non possiedono. I  genitori che non hanno esperienze agonistiche semplicemente non hanno mai sviluppato la serie di abilità psichiche che sono richieste ad un atleta. È possibile che questi stiano sperimentando l’agonismo in atletica per la prima volta attraverso il prisma del proprio ragazzo; cosa che può costituire un pendio molto scivoloso. Alcuni altri invece credono che i propri figli rappresentino una “seconda chance” per correggere gli errori di un proprio passato atletico non così illustre come avrebbe dovuto essere. Ad ogni modo la cosa più importante da capire, è che i ragazzi pre adolescenti seguono tre motivazioni principali per fare sport: divertirsi, socializzare, e compiacere i propri genitori.Troppi bambini finiscono per fare semplicemente l’ultima cosa, e questo spesso non funziona troppo a lungo. Questi ultimi ragazzi raramente durano nello sport fino a raggiungere l’alto livello e molto spesso finiscono per lasciare la propria disciplina, dopo anni di sviluppo, perchè questo è un bel modo di ribellarsi ai propri genitori. A fine gara, sento spesso che le prime parole di questo tipo di genitori sono valutazioni o di critiche riguardo alla competizione quando dovrebbero semplicemente essere: “ti sei divertito?”
  2. Superspecializzazione prematura. Una volta mi sono consultato con un papà ansioso in qualche modo ansioso con riguardo all’allenamento della figlia infortunata. Il dottore aveva raccomandato 3 settimane di riposo per permettere la guarigione dall’infortunio, ma questo papà era del parere che fosse una cautela eccessiva e che la figlia avrebbe perso troppo terreno a causa di questo stop. All’epoca la bambina aveva 9 anni. Chiaramente il papà avrà avuto in mente i suoi progetti e non l’interesse della figlia. Dubitai fortemente che sarebbe arrivata a fare sport oltre i 12 anni.

    C’è stato uno sbalorditivo incremento di infortuni di tipo ortopedico tra i ragazzi nell’ultimo decennio. Questo corrisponde alla incremento di specializzazione prematura su un singolo sport. I bambini sono allenati troppo duramente, troppo spesso, troppo ripetitivamente  e troppo spesso senza una corretta preparazione dei presupposti fondamentali.I programmi di allenamento e di addestramento sportivo si sono concentrati su questo, spesso ignorando le linee guida ortopediche, preferendo invece compiacere i genitori mostrando ai genitori risultati immediati. I bambini non presentano una base  stabile su cui caricare un alto volume di lavoro, specialmente durante le fasi della crescita. Infortuni alle placche epifisarie in accrescimento, ai dischi vertebrali, lacerazioni del menisco, sollecitazioni tendineo-legamentose, possono lasciare nei ragazzi danni permanenti.Il corpo umano non è fatto per ripetere  movimenti specifici uno sopra l’altro, specialmente da piccoli. Siamo fatti per fare movimenti su diversi piani che è una cosa più affine “all’esci e vai a giocare” che non all’allenamento. Se davvero vuoi far sviluppare un atleta sin dalla giovane età devi fare proprio questo: farli sviluppare (inteso come non specializzare ndt). Si devono sviluppare una serie di abilità e la coordinazione generale, la forza e l’agilità che sono appropriata per l’età. Un buon allenatore/ genitore dovrebbe tenere in considerazione le tappe dello sviluppo e calibrare in accordo a queste i carichi di lavoro, monitorando pause e recuperi insegnando ed imponendo una corretta alimentazione e sviluppando le capacità mentali. Ancora oggi queste importanti aree di opportunità vengono spesso trascurate.

     

    La linea di demarcazione è costituita dal fatto che, se il vostro ragazzo si fa male sistematicamente o se anche i suoi compagni di squadra stanno accusando una serie di infortuni da carico iterativo, significa che il sistema di preparazione ed allenamento stafallendo e non importa quanto bene stiano andando i migliori “atleti” (di questi allenatori).

  3. Focalizzarsi su un singolo sport. È in qualche modo logico aspettarsi che più un atleta passa del tempo allenandosi per un dato sport, più l’atleta migliori nel tempo. E non c’è dubbio che occasionalmente salti fuori un Tiger Woods. Ma più spesso questa mentalità si lascia indietro moltitudini di giovani che si perdono per la strada. Far crescere un atleta è come aprire una porta. Occorre avere proprio la chiave giusta, quella che fa muovere tutti i perni della serratura, per aprire la porta. L’allenamento è solo uno dei perni, non è la chiave.Come ho già detto, un bambino non si auto realizza in uno sport fino a che non è adolescente. Al fine di capire quello in cui sono bravi davvero, che gli piace davvero, e quello in cui vogliono (provare n.d.t.) ad avere successo devono provare un numero di cose.Questa cosa è buona, è salutare e li protegge dal burning out in uno sport solo. Ma troppi genitori intravedono un po’ di talento o attitudine e vogliono chiamare questa cosa “sport”. Partecipare in più discipline o attività potrebbe anche aiutare a prevenire gli infortuni legati alla superspecializzazione. Dovreste chiedere ai vostri bambini se vogliono provare sport diversi , o anche sollecitarli gentilmente a fare in questo modo. Nel tempo potranno poi stringere il campo. Divertirsi nelle trasferte con la squadra di calcio da giovani potrebbe far capire ai vostri figli che sono più dotati (e più appassionati) per il baseball.

    Se vostro figlio (o figlia n.d.t.) ha meno di 12 anni e vi riscoprite a bordo campo con le parole “campione”, “borsa di studio” e “fenomeno” che vi girano in testa probabilmente avete bisogno di ri-settare la vostra prospettiva. Una delle lezioni più difficile che dovrete imparare è che ci sarà un momento in cui saranno loro a decidere se continuare o meno in uno sport. E non ci sarà nulla che possiate fare  per farli continuare a gareggiare se semplicemente non ne avranno il desiderio o la voglia. E’ un semplice dato di fatto che le ore in macchina, le migliaia di dollari spese per la loro formazione tecnica e gli anni trascorsi assistendo a gare ed allenamenti, statisticamente molto spesso non portano da nessuna parte.

    I valori imparati e conquistati su un campo di atletica varranno più di qualsiasi altro premio; valori quali sportività, l’onore, l’integrità, lo stare bene, il lavoro duro ed il lavoro di squadra. La relazione che instaurerete attraverso le gare dei vostri figli avrà una grande importanza nel loro futuro. Le decisioni che prenderete come genitori avranno un effetto enorme non  solo nello sviluppo atletico di vostro figlio, ma anche riguardo alla sua salute, al suo benessere ed alla sua etica. Scegliete saggiamente.

 

Traduzione ed introduzione di Andrea Uberti

l’infortunio inconscio 

 

E’ un caso facile da individuare in un giovane atleta, a valle di un’attenta riflessione sull’accaduto e di una buona conoscenza del soggetto. I piccoli infortuni, spesso di modesta entità ma tali generare una scusa valida a non gareggiare (o a competere comunque ma in condizione di handicap), appartengono a ciò che S.Freud definì atti mancati. Riscontrabili sia in soggetti “normali” che nevrotici interessano gli allenatori perchè si possono presentare in prossimità di appuntamenti agonistici importanti. Naturalmente quando l’atto mancato perde la sua caratteristica di sporadicità allora si può parlare di sintomo nevrotico vero e proprio.

 

        Per Freud nella vita psichica non esiste il caso e attraverso questo determinismo, in ogni comportamento è reperibile un significato. L’infortunio diviene inconsciamente (ovvero senza premeditazione o intenzione apparente) il mezzo di alleggerimento o di evitamento dello stress che incombe, consentendo all’atleta di ridurre la pressione su di sè. Sono infortuni che non compromettono mai la carriera sportiva (sono spesso cadute da scale, in bicicletta, microfratture da contusione, sempre in parti anatomiche determinanti per la prestazione). L’infortunio lieve, anche se non compromette la gara, consente dunque di avere una buona scusa qualora il risultato non giunga, con conseguente riduzione temporanea dello stress.

 

 

       Si tratta quindi di pensiero neurotico, di una difesa dell’IO ad opera di meccanismi psichici inconsci che tendono a rassicurare il soggetto, allontanando la percezione minacciosa dell’evento. Situazioni analoghe potrebbero altresì rivelarsi in un meccanismo inconscio di proiezione verso un'altra persona, come se farsi male danneggiasse non tanto l’atleta quanto chi egli percepisce come ostile (allenatore, genitore, dirigente sportivo, ecc.).

 

Giampaolo Garilli

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